Tutto dall’inizio. Una panchina a Montparnasse. Sto lì a meditare sui boulevard di Parigi invasi da gente che sfreccia in monopattino e mi chiedo, complice anche un bio-hamburger che mi sta come un mattone nell’esofago, se il monopattino non sia la soluzione, in quanto sottrazione del corpo e dunque liberazione. Sto lì che m’immagino etereo e svolazzante quando vedo, davanti al portone dove tra cinque minuti mi affaccerò, una bambina che più leggiadra non si può. Volteggia e svolazza, sui pattini in questo caso, inseguita da una probabile tata che, scopriremo poi chiamarsi Marie Julie. Le due giocano e penso che l’affanno della non più giovane tata alle prese con l’inafferrabile ninfa è una struggente testimonianza di come il mondo possa avere ancora una speranza. Léonie, così si chiama, la svolazzante, è di una bellezza incomprensibile. A meno che non sia la figlia più piccola di Monica Bellucci. O la Bellucci stessa, in uno sfasamento temporale scatenato dagli effetti del bio- amburger.
«Mettiti comodo… Sei venuto davvero a Parigi
apposta per me?». Monica Bellucci si fa precedere
dalla voce, lungo il corridoio della sua casa
a due piani. È la seconda volta che me lo chiede
È la seconda volta che rispondo «sì». L’altra volta,
dodici anni fa all’Hotel Costes, il più dark di
Parigi, lei nella versione moglie di Dracula secondo
Francis Ford Coppola. La ritrovo illesa, la statua
iconica di sempre, decisamente meno dark.
Quando la vedo, mi viene da cantare l’inno di
Mameli. Si è patrioti a volte per i motivi più strani.
Stavolta la Nazionale di noi tutti è dentro un
abito a fiori. «Molto semplice, di cotone. Me l’ha
regalato un uomo e non chiedermi altro, tanto
non te lo dico chi è…». Non le chiedo altro, tanto
non me lo dice chi è, ma la curiosità mi assedia.
Mi gioco il vecchio trucco da repertorio. Di
solito funziona. Con Susan Sarandon aveva funzionato.
«Fammi un regalo. Dimmi il nome dello
spasimante, questa è la mia ultima intervista, poi
lascio…». «Non ci casco, sono sicura che è una bugia…».
Ma quello che mi preme davvero sapere è se
va anche lei in monopattino sui boulevard di Parigi.
«No, scherzi? Mi ammazzerei. Io porto quasi
sempre i tacchi, sono una donna di tacchi. Solo se
devo andare veloce metto le scarpe da ginnastica
». Tra una domanda assurda e l’altra, valigie da
fare e da disfare. «…Sono appena arrivata dalla
Tunisia dove ho finito di girare un film e parto
domani per le vacanze con gli amici e le mie bambine
». Un’isola sperduta della Grecia. Allunga le
dita affusolate sulla caraffa d’acqua per il gaudio
degli assetati: «Il film? Si chiama: L’homme qui
avait vendu sa peau, l’uomo che aveva venduto
la sua pelle. Storia di un giovane rifugiato siriano
la cui vita è stravolta dall’incontro con un artista
americano… Mi sono fatta bionda per l’occasione
». Bionda come ai tempi di Malèna, la dea
muta di Tornatore. Bionda, scura, vampira,
dea, lesbica, missionaria, strega, bond
girl, donna della porta accanto, Monica
è stata qualunque cosa sul set. Maddalena
ai piedi della croce con Mel Gibson. E anche
puttana. Come in Per sesso o per amore? di Bertrand
Blier. «…Sul set giravo scene d’amore e nelle
pause allattavo e cambiavo i pannolini. Le puttane
a cui ho dato vita al cinema sono sempre
sulla via della redenzione, donne che si convertono
per amore. Le mie prostitute sono sante».
Un’icona che ha le sue icone. «Claude Lelouch.
Ho così amato Un uomo, una donna. Quando
ho saputo che avrebbe girato cinquant’anni
dopo il sequel, ho voluto esserci in ogni modo.
Meravigliosi, Jean-Louis Trintignant e Anouk
Aimée. Commovente l’ovazione che gli hanno
fatto a Cannes. Vederli sul set, alla loro età, questa
luce negli occhi, è la prova che l’anima non
invecchia». Sono lì a scodellare il mio pezzo preferito,
che l’età anagrafica è un’impostura, quando
lei mi fissa e mi fa: «Tu apprezzi il tempo che
passa?». Io penso che il tempo sia un assassino.
Ci uccide. «Io non mi sento uccisa per niente.
Il tempo che passa lo trovo interessante.
Sento che dobbiamo scoprire qualcosa,
ma non so bene cosa». La ricordavo intrisa
di religiosità. «Non direi, vengo da un padre
ateo. Intrisa piuttosto di spiritualità. Mi piace
l’idea di una forza vitale di cui facciamo parte,
che ci appartiene e ci sovrasta. Una legge cosmica
che in qualche modo regoli una giustizia universale.
Parlare di Dio è troppo. Da umana non
mi sento autorizzata a volare così alto».
Me la guardo l’agnostica mentre mi parla di
leggi cosmiche e penso che una ragazza di campagna
e una diva non si sono mai combinate
con tanta grazia nello stesso schianto di donna.
Da San Giustino, uno sputo di terra, fuori Città
di Castello, a Parigi e tutto il mondo di mezzo
quando, diciannovenne che Dio la benedica e avvocato
mancato, lascia una storia già scritta per
inventarsene una inverosimile. Mel Gibson, Bruce
Willis, Clive Owen, Keanu Reeves, Robert De
Niro, Gene Hackman, Morgan Freeman, Nicolas
Cage, Gérard Depardieu, Julianne Moore, Winona
Ryder, Sophie Marceau, Francis Ford Coppola,
Giuseppe Tornatore, Terry Gilliam, i fratelli
Wachowski, Spike Lee, Emir Kusturica, solo alcuni
dei nomi che ne fanno parte.
Tunisia, Parigi, Grecia e poi Venezia. C’è qualcosa
d’imminente che la eccita e si chiama Irréversible,
il film scandalo del 2002 di Gaspar Noé
che sarà presentato alla Mostra del Cinema nella
versione integrale, rimontata dal regista secondo
la cronologia classica, dopo essere stato girato
all’epoca con la tecnica della narrazione inversione,
stile Memento. «Una storia estrema, nel
bene e nel male. È un film culto che si studia nelle
scuole di cinema. Ora si potrà vederlo, prima
volta nella storia del cinema, con due montaggi
diversi e due letture diverse. Se lo vedi lineare, la
violenza ha un perché che non vuol dire giustificazione.
Visto con il tempo inverso è atto incomprensibile
». La scena dello stupro, nove minuti.
Insostenibile per molti. La macchina da presa addosso
ai due, violentata e violentatore. Lei stessa
nell’atto dello stupro. «Quando abbiamo girato
il film non ero ancora madre. Oggi, lo leggo
diversamente. Ho pensato alle mie figlie, alle loro
coetanee e mi sono detta: “Che cosa possono
pensare di un film così? Possono avere più paura
di quanto già abbiano?”. Questo film non è solo
lo stupro nel tunnel, è tante altre cose, la scena
d’amore bellissima tra Vincent e me per esempio.
È orrore e poesia. La mostruosità dell’essere
umano e la sua bellezza. C’è tutto, la violenza,
la vendetta, l’amore, la donna che aspetta un figlio,
la coppia che fa progetti sul futuro. All’epoca,
le ragazze venivano da me e, tremando,
mi chiedevano: “Come ha potuto interpretare
una scena così?”. Per me non fu
scioccante mentre la giravo. Lo shock arrivò dopo,
quando capii d’aver toccato una corda intima
di tutte le donne. Tutte le donne hanno sentito
parlare di uno stupro. O l’hanno subito o temono
di subirlo. Una volta ho chiesto a Gaspar
perché ha scelto me per questo film. “Voglio far
vedere come c’è una parte dell’umanità che vuole
distruggere la bellezza”, mi ha risposto. Se lo
farei vedere alle mie figlie? No, non lo farei vedere,
anche se oggi nei social si accede a tutto il peggio
possibile. Non possiamo chiudere i figli in una
bolla». Lei mi parla e io penso agli inconvenienti
della bellezza. L’impresa di farsi considerare una
brava attrice se sei una bella donna. E poi, sapere
che ogni maledetto bipede maschile che incroci
fantastica di passare una notte con te al chiaro di
luna. Anche senza chiaro di luna. «Oh, ma lo sai
che stai parlando con una donna di 55 anni?…».
Mi fa, sbarazzina. «Maléna con Tornatore è stata
la mia svolta d’attrice. Irréversible mi ha fatto conoscere
e apprezzare come attrice in America».
Si cambia? Quanto si cambia? «Per fortuna, si
cambia. A volte ho capito di aver detto delle cazzate
micidiali. In un’intervista di anni fa mi sono
lasciata dire: “Le persone che non vivono una
sessualità normale mi fanno paura”. L’ho riletta e
ho pensato: “Ecco la frase stupida di una persona
che non ha vissuto abbastanza. Che non capisce
che certe volte si ha bisogno di prendere
la distanza dalle cose”. Se a me è successo di stare
senza sesso? Certo. A volte sento il bisogno di
ritirarmi dalle cose per capire le cose. L’hai visto
quel film bellissimo, Ida, del regista polonais,
Pawel Pawlikowski, la storia di una ragazza che
si apre al mondo, scopre il mondo e sceglie di ritirarsi
in convento?…». Dice proprio così, polonais
(in francese), Monica sciacquata nella Senna
e nessun pericolo alle porte che si chiuda in convento.
«Da giovani vediamo solo bianco o nero.
Siamo conformisti, pensiamo di avere un pensiero,
ma siamo vittime di tutte le lezioni ricevute,
finché non impariamo a darci le nostre».
Allucinazione da bio-hamburger persistente?
Ho davanti Monica Bellucci e vedo ora Rosalinda
Celentano, una delle sue amiche, la più tormentata.
Una storia d’amore più che di amicizia.
Penso a Rosalinda, a quando mi raccontava della
sua rinuncia al sesso come causa probabile del
tumore all’utero. «Rosalinda è sempre una mia
cara amica. Talmente fragile che diventa forte. La
grande sensibilità ci mette in connessione con le
cose. Il peggio è il deserto, quando non sentiamo
più. Avere un cuore semplice, alla fine, è quello
che fa di noi delle persone vere». Borges dice che
l’amicizia tra due uomini è un lusso, tra due donne
è un miracolo. «E allora io sono la donna dei
miracoli. L’amicizia è la più alta forma d’amore.
Sono fedelissima alle mie amiche. Me le tengo
tutte strette. Vedo ancora la mia compagna del liceo
classico a Città di Castello. Ho il mio gruppo
da sempre. Rosalinda, Ilaria D’Amico, Maria Sole
Tognazzi. Quando vado a Roma vedo Valeria
Golino e Isabella Ferrari. Anche Vera Gemma».
Donna fedele «la belle Bellucci», come la chiamano
i francesi con una botta di estro immaginifico.
«Una brava bestiolina molto pigra», si definisce
lei. «L’istinto mi salva. Mi salvano le decisioni
che partono dalla pancia. È una cosa che hanno
i bambini. Se lo perdiamo siamo morti. Pigra?
Più che altro, lenta. Sono un bradipante che mangia
le foglioline pianino. Faccio tutto lento». Dice
proprio così, «bradipante», la donna che parlerebbe
solo delle sue bambine e non parla nemmeno
sotto tortura dei suoi uomini. Di quelli del passato,
Vincent Cassel, il padre delle figlie, dell’eventuale
presente o forse passato anche lui a quanto
si dice, Nicolas Lefebvre («Bello sì, ma anche una
persona molto carina») e probabile futuro, l’uomo
che le regala abiti a fiori. «In amore e in amicizia
sono una tomba…». Resta da capire perché, continuando
ad amare, si va altrove, a volte si scappa,
a volte si cerca altro. «Bisogna abbandonare
le cose che ci abbandonano», diceva quel genio di Baltasar Gracian, il filosofo gesuita. «Mi piace, ma
non fa per me. Io abbandono quando mi hanno
già abbandonata. Magari mi hanno abbandonato
ma non lo sanno. Io lo so, loro no. Ci sono persone
importanti che dobbiamo tagliare quando ci portano
nel buco nero. A volte cerchi di tirarle fuori
dall’ombra, ma sono loro che tirano te dentro. E
allora devi decidere. Io amo la luce. Nella mia vita
ho incontrato uomini molto diversi tra loro, di luce
e di ombra. Non ho un mio tipo d’uomo. Per me
conta solo il mio sguardo. Quello che leggo, che
non posso spiegare. Due anime che si parlano».
Sono lì a chiedermi se Vincent Cassel sia fatto
di luce o di ombra, ma lei, donna infernale, intuisce
che me lo chiedo. «Sono divorziata da sette anni
con lui, un’eternità, e stiamo ancora lì? Mai parlato
degli uomini con cui sono stata. Sono cose intime.
È una forma di rispetto».
Uomini, donne. Un giovane Lelouch di oggi farebbe
fatica a districarsi nel caos dei generi. C’è
tutto un mondo perduto. «Siamo nel pieno di un
cambiamento enorme. Le donne escono allo scoperto,
parlano di più, vedi molte più donne regista,
donne pilota, donne arbitro. Diventa sempre
più sottile il confine tra il bisogno di essere amate
e però anche rispettate. Desiderate senza essere
scalfite. Non è il complimento che offende una
donna, ma l’andare oltre. Questo oltre va definito.
C’è un grande casino cosmico che sta paralizzando
tutto, una sofferenza dei ruoli. Il macho di un
tempo non esiste più, sarebbe una macchietta, ma
gli uomini di oggi hanno paura di guardare le donne
per strada e questo non va bene. Mi piace l’uomo
che non teme di mostrare la sua parte femminile,
non mi piace l’uomo che ha paura di essere
uomo. Se pensiamo alla vulnerabilità, non c’è nulla
di più femminile di un attore. Richard Burton
diceva che un’attrice è un po’ più di una donna e
un attore po’ meno di un uomo».
«Fragilità, il tuo nome è donna», diceva Amleto
pensando alla madre e non era un complimento.
«Non sempre sono padrona di me stessa», ammetteva
qua e là Marlene Dietrich. «Lo diceva anche
Dante. Perdersi per il piacere di ritrovarsi. Sono
della Bilancia, la mia vita è tutta una ricerca
dell’equilibrio. Emir Kusturica mi diceva sempre
“Bisogna essere malati per capire quando
si è sani”. Mi è piaciuto tanto lavorare con lui.
I registi mi hanno insegnato un sacco di cose. Divento
creta nelle loro mani… Se ho mai perso il controllo della mia vita? Spesso. E sto benissimo
quando succede. I francesi hanno un’espressione
bellissima per questo. “Tomber amoureux”. Cadere
nell’amore. Come fosse uno stato di trance».
Uomini che sempre più hanno paura delle donne,
sempre più le uccidono per questo. Paura di essere
per la seconda volta sfrattati da ciò che li accoglie.
«Vuoi dire l’amour fou? Ne ero capace, prima
di diventare madre. Ora non più. Non si ama
più nessuno come si amano i figli. Questo è il grande
problema di voi uomini. Sarà il mio essere un’italianaccia
vera, ma io sono visceralmente prosternata
davanti alle mie creature. Pezzi de’ core…
». Dice proprio così, Monica. Che ora si avvicina
a un millimetro dal registratore e soffia sensuale,
come solo lei. «Eh sì, l’uomo passa un pochino
in seconda linea quando arrivano i figli…». In quel
momento, se me lo chiedesse e se io fossi un uomo
da manuale, mi farei passare un ferro da stiro bollente
sulla pianta dei piedi. «Ma non è colpa nostra.
Siete voi che sbagliate. Voi uomini dovete imparare
a farci uscire da questa cosa viscerale. Che
so? Amore, lascia il bambino alla tata o alla mamma
e partiamo cinque giorni. Invece, gli uomini si
arrendono facile. La donna madre, forse, non
è più desiderabile? Ah boh… Ci lasciate fare
le mamme e poi ve ne andate con altre
donne. Così ci perdiamo…».
Eccola, Monica, a 55 anni. Protesa in un una sola
direzione. Ritornare bambina, attraverso il prisma
delle sue due bambine, Deva e Léonie. Eccola,
Deva divina quattordicenne con il suo fidanzatino,
così giovane e già si capisce definitivamente
perduto al laccio della femmina. «Le mie bambine
sono le mie ali. Grazie a loro volo. Non si fermano
mai. Assomigliano molto al padre. La madre è più
pigra, mediterranea. Hai visto cosa sono? Due vichinghe
elegantissime. Parlano italiano. Romanacce
entrambe. Ho voluto che nascessero a Roma».
Diventata madre quando, di solito, si comincia a
pensare che sia troppo tardi per farlo. «Mi sentivo
una donna appagata. Poi l’orologio biologico mi
ha avvisato che il tempo stava per scadere, adesso
o mai più. Guardavo il mio seno allo specchio e mi
chiedevo: possibile che serva solo per gonfiare un
abito da sera? Il mio grande amico di un tempo,
Dado Ruspoli, mi disse un giorno: “Ricordati che
i figli sono l’unica realtà”. Aveva ragione». A proposito
di fedeltà. Mi fa vedere il cellulare. «Dado
è morto da quindici anni ma non l’ho mai cancellato,
lo tengo ancora vivo nella mia rubrica…». Il
fuoco dell’ispirazione viene da lì, dal bambino che
è in noi. Vale per me, per te, per chiunque. Il giorno
che perderò questo contatto, sarà il momento
che dovrò smettere».
Lei mi parla di bambini, la mia testa bacata va
a Rosa Fumetto, la regina del Crazy Horse, donna
d’intelligenza rara, e a una sua frase. «Tra le star di oggi chi avrebbe fatto la sua figura al Crazy Horse?
Monica Bellucci. Bella, intelligente, sufficientemente
attrice, sa usare il suo corpo senza perdere
la testa, alla Diderot». Un magnifico complimento
di una testa magnifica dentro un corpo magnifico.
«Ringraziala da parte mia. Io mi dico che
dalla mia storia di attrice ho avuto anche troppo.
Quando ho cominciato non potevo pensare che
avrei lavorato con registi così importanti in Paesi
così diversi. Ma sono solo a metà di questa storia.
Il bello deve ancora venire, fidati».
Passano le figlie, passa la tata, passa Eva, la gatta
nera. Resta Monica. Ho bisogno di strapparle
qualcosa di intimo. «Quanto hai di temperatura
corporea?». «36,1 di media. A 36,5 è inizio di
febbre…». Mi ritengo soddisfatto. «Tu dici che noi
donne siamo creature infernali? È vero, abbiamo
cominciato noi con la storia della mela a parlare
con i serpenti. Ma ho capito una cosa. La verità
non esiste. La vita è solo uno stato d’animo». Vero.
È solo l’umore del momento.
Voglio andarmene con l’immagine della Bellucci che ride bambina. Mi ricordo che il suo boulevard è quello in cui decapitarono le ultime teste,
all’epoca della Rivoluzione. Le racconto la barzelletta della ghigliottina inceppata e dell’ingegnere condannato a morte e lei ride come una pazza. Me
ne vado in pace.
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di GIANCARLO DOTTO, servizio BARBARA BAUMEL, foto THIEMO SANDER/H&K